Centro Clinico Istituto di Terapia Relazionale Integrata (ITRI) Trofimena Gargano
RESPONSABILE dottoressa Trofimena Gargano, psicoterapueta familiare, psicoanalista- società psicoanalitica italiana SPI
Psicoterapeuti: Francesca Bruni, Donata De Martino , Cristina Giardullo, Angela Giordano, Alessandra Scampoli, Cappa Riccardo, Bocchieri Federica, Giarrizzo Jessica, Luisa Pisano, Alessandra Ojetti, Luca Marchegiani, Arianna De Rosa, Tontini Lorenzo, Amerigo Gilberto, Esposito Francesca.
L’equipe del Centro Clinico dell’Istituto di Terapia Relazionale Integrata – ITRI è formata da psichiatri e psicologi di formazione psicoanalitica, psicoterapeuti familiari di formazione sistemico relazionale e psicoanalitica, da medici internisti e nutrizionisti. Il modello teorico di riferimento è psicodinamico in integrazione con il modello sistemico relazionale in quanto la psicoterapia familiare è condotta sia da psicoterapeuti familiari con formazione psicoanalitica sia da psicoterapeuti con formazione sistemico-relazionale. Come centro ambulatoriale di psicoterapia ha la duttilità per poter adattare il protocollo alle esigenze specifiche del paziente, gestendo l’urgenza medica in integrazione con le strutture ospedaliere presenti sul territorio con cui abbiamo stabilito nel tempo collaborazioni grazie all’interscambio di competenze specifiche tra gli operatori.
Questo ci dà la possibilità di trattare anche anoressia con BMI inferiori a 10 potendo sia predisporre ricoveri, mantenendo la continuità terapeutica con gli psicoterapeuti della struttura, sia gestire ricoveri a casa quando la condizione organica e la struttura familiare lo consente. Inoltre l’emergenza medica e psichiatrica, viene gestita in integrazione con le strutture ambulatoriali presenti sul territorio e all’interno della nostra struttura. Allo stato attuale ci confrontiamo con esordi sempre più precoci in cui l’intervento familiare è indispensabile, ma anche purtroppo con situazioni cronicizzate di pazienti multitrattate in cui la forza patogenica della famiglia è direttamente proporzionale al livello di psicopatologia dei genitori e di indifferenziazione della paziente dal contesto familiare. In queste situazioni il lavoro di equipe che coinvolge lo psicoterapeuta individuale, quello familiare, lo psichiatra e il medico internista soddisfa sia esigenze oggettive, come la necessità di considerare contemporaneamente l’urgenza fisica e quella psichica, ma soprattutto esigenze emotive come la necessità di far circolare emozioni intense che un singolo operatore non è in grado di contenere dentro di sé. L’integrazione dal nostro punto di vista è prima di tutto un processo mentale e come tale non è dato solo dall’operatività, non è la somma degli specialisti che permette un trattamento integrato, ma la qualità di quello che riescono a pensare insieme per restituire significato ai sintomi dei pazienti ed alleviare il peso emotivo che il paziente con una grave alterazione di sé crea.
Il pensiero evolve grazie all’interscambio continuo tra gli operatori, è l’equipe che conosce il paziente e costruisce nel tempo un pensiero sulla storia e sulla personalità del paziente. Con l’intervento integrato cambia l’unità diagnostica, non è più solo l’individuo ma tutti i suoi contesti di appartenenza tra cui anche la struttura ospedaliera da cui il paziente proviene o con cui ha contatti. La diagnosi integrata che inizia nel momento in cui il paziente si rivolge al nostro centro, coinvolge più figure professionali contemporaneamente sia all’interno del centro clinico sia sul territorio e consente di gestire e contenere le urgenze e le emergenze che sono attivate dal pericolo del coinvolgimento del corpo. Ogni fase della cura prevede il coinvolgimento di una figura centrale che ha la funzione di contenere le parti psichiche più informi e destrutturate. In alcune fasi della terapia il lavoro di alcuni membri dell’equipe ha la finalità di rendere possibile il lavoro di altri. Il trattamento integrato nel nostro centro si struttura sulla connessione teorica ed operativa di setting diversi, dando vita a quello che definiamo un contesto relazionale contenitore di informazioni diverse in cui coesistono la concretezza del contesto biologico e la simbologia del contesto psicologico. La coesistenza è garantita dalla sospensione del giudizio che crea lo spazio mentale e fisico per collaborare e tollerare la differenza sentita come arricchimento e non come minaccia all’identità individuale.
La possibilità di tollerare la differenza e di sospendere il giudizio, permette la formulazione interna ed esterna di una risposta integrata non collusiva con la scissione della paziente e della famiglia in cui non c’è spazio per la differenza e la pensabilità. L’equipe deve tendere a quella integrazione che la paziente e la famiglia non riescono a tollerare dentro di loro.
I pazienti che si rivolgono al nostro centro ci mettono continuamente dinanzi ad un grande paradosso, chiedono la cura, ma nello stesso tempo tendono ad evitare la relazione che li può curare, hanno un bisogno disperato della relazione ma è quello che temono di più. Ci confrontiamo con pazienti che non sono in grado di porre una domanda di cura autentica, il sintomo è l’unico elemento autentico, in una condizione di assimilazione totale al ruolo prescritto dalla famiglia e come tale, dal nostro punto di vista, va preservato, fino al momento in cui il paziente non è in grado di esprimere attraverso le parole e non con il corpo, emozioni dolorose presenti e passate non simbolizzabili. Non potendo controllare i loro pensieri, questi pazienti acquisiscono padronanza del loro corpo e lo usano nel disperato tentativo di acquisire una consistenza che non trovano dentro di loro. La domanda dei genitori è sempre segnata dall’urgenza, e quasi sempre caratterizzata dal tentativo di collocare la malattia nel corpo più che nell’anima.
L’urgenza sintomatica ci pone spesso dinanzi alla necessità di confrontarci con un reale che stimola l’agire, ma nello stesso tempo siamo consapevoli che solo dilatando i tempi dell’azione si favorisce la pensabilità. E’ la contraddizione tra queste due necessità, dal nostro punto di vista, che richiede l’integrazione di più setting (individuale, familiare, internistico – nutrizionale). Lo spazio di pensiero integrato tra il setting familiare ed individuale consente sia una primaria integrazione di parti scisse del paziente all’interno del gruppo dei terapeuti, sia la possibilità di costruire un pensiero che permetta di contenere l’emergenza, senza fare richieste coercitive alla paziente. Il terapeuta individuale, può tollerare il rischio degli agiti a cui la relazione con i pazienti anoressici espone, tra cui l’abbandono della terapia, perché il terapeuta familiare vigila sulla relazione terapeutica individuale, contenendo gli agiti anche concretamente se necessario ed il gruppo di supervisione vigila attivando prospettive di pensiero capaci di restituire significato e quindi contenere la gravità.
La presenza dei genitori nella stanza familiare rende la relazione con il terapeuta familiare meno pericolosa, sia perché la paziente non si sente minacciata da una richiesta di differenziazione, sia perché il terapeuta familiare svolge una funzione di garante del legame familiare che permette ai contenuti aggressivi negati di trovare una elaborazione. Acquisire un rapporto di fiducia con il terapeuta familiare si riflette positivamente anche nella relazione tra la paziente e il terapeuta individuale. L’integrazione concreta dei terapeuti permette al terapeuta individuale di beneficiare della qualità della relazione tra la paziente ed il terapeuta familiare. Inoltre il lavoro familiare contiene le proiezioni reciproche tra la paziente e i familiari, il terapeuta diviene l’oggetto di tali proiezioni, svincolando la paziente da massicce proiezioni patogene. La relazione dei genitori con il terapeuta familiare presentifica aspetti della relazione primaria fondanti la relazione di coppia . Man mano che la dimensione di coppia coniugale acquisisce consistenza nella stanza di terapia familiare la paziente può iniziare a raccontare di sé al terapeuta individuale iniziando a riattualizzare nel transfert individuale l’intensità traumatica vissuta nella relazione primaria.